Terminata la prima mostra del 2002 a San Marco in Lamis, i quadri erano stati rapidamente tutti venduti. Una coppia di sposi, conoscenti della famiglia Gravina, desiderava avere un quadro ma non aveva fatto in tempo ad acquistarne uno dalla mostra. Giastin, quindi, pensò ad una tela per loro dal titolo Umiltà, perché a suo avviso si distinguevano per umiltà e bellezza d’animo. I due tronchi rappresentano questi due sposi, che umilmente, anche con i propri limiti ed i propri difetti, vivono lasciandosi illuminare dal sole, che come sempre è Dio, lo Spirito Santo. Come il sole in questo paesaggio, Dio è il centro, la fonte di ogni bene dell’essere umano.
Il cielo illuminato dal rosso, dall’arancione e dal giallo, domina la scena con colori densi e sovrapposti, mentre il bianco del sole arriva sui tronchi fin quasi a consumare i loro contorni e a modellarne le forme, come lo Spirito Santo plasma le nostre anime e le fonde in Lui. Gli alberi con un movimento sinuoso e un ritmo danzante contorcono il tronco e con i rami sembrano abbracciare la luce.
La sua firma è nella terra, cioè nel Padre che ci dà vita.
“Siamo nel mondo così come siamo”, diceva a sua madre. Nella descrizione degli alberi secchi, apparentemente morti, Giastin è fortemente autobiografica: nonostante la sua malattia, le deformità del suo corpo, resta nell’umiltà di accogliersi e di vivere così com’è, senza pretese o aspettative di guarigione fisica, lasciando danzare la sua anima nutrendosi di Dio. I suoi limiti fisici, come i limiti di ogni persona, non sono un ostacolo a vivere in pienezza, perché tutto ciò che serve per essere felici viene dall’alto. Poco prima di morire, nel 2004, infatti scriveva: “Nessun uomo è prigioniero dei propri limiti se la sua mente è libera di volare”.
- Misura
- 50x70
- Collezione
- Collezione privata
- Tecnica
- Olio su Tela
- Anno
- 2002
- Luogo
- San Marco in Lamis