Olio su tela

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16 Agosto 20240

Questa tela, esposta nel corso della sua seconda mostra del 2003, esprime che, attraverso i suoi dipinti, Giastin potrà volare nelle case di altre persone a portare la gioia che aveva in cuore.
L’alberello soggetto principale di questa tela, rappresenta il corpo di Giastin, curvo e abbattuto a causa della malattia, ma sollevato e redento dalle piaghe di Cristo. L’alberello genera vita con i suoi rami ricoperti di foglie e si solleva verso l’alto come per spiccare il volo. Le curve del tronco non sono un ostacolo: due rami principali si estendono verso il cielo come ali risplendenti della luce dello Spirito Santo.

Qui la sua firma è nel cielo, perché Giastin si sentiva già in cielo, cioè nella vera vita.

Questo è uno dei pochi dipinti in cui non abbiamo la presenza dell’arancione, suo colore preferito. Qui spiccano le tonalità fredde del verde ed in particolare dell’azzurro, che per lei è simbolo della spiritualità.


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14 Agosto 20240

Questa immagine rispecchia una riflessione di Giastin sulla condizione umana. La natura dell’uomo è fatta di terra e di cielo, e per questa ragione il nostro sguardo deve essere sempre rivolto verso l’alto, altrimenti resteremmo simili ad animali. Nella tela la testa e le braccia della figura tendono verso il cielo sviluppandosi in rami, e la torsione del busto accentua questo movimento.

Il quadro è diviso in due parti ben distinte: a destra l’uomo, nella sua appartenenza alla terra, volge verso la parte sinistra, dove la figura tende verso il cielo. A sinistra, infatti, il rosso e il giallo dello Spirito Santo infiammano d’amore la vita e inglobano in sè l’azzurro della spiritualità che circonda tutta la parte sinistra della figura quasi risucchiandola.

Il corpo è più scuro a sinistra per evidenziare la torsione verso l’alto e dare luce alla parte del viso che si espone alla luce dello Spirito Santo.

Il movimento di torsione induce a pensare che questa divisione fra corporalità e spiritualità non sarà per sempre, perché anche la parte destra sarà inglobata nello Spirito e diverrà tutt’uno con il cielo.


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12 Agosto 20240

Questa dolcissima e regale immagine di Gesù Bambino sollevato verso il cielo da Maria, induce alla contemplazione di un Amore infinito e spirituale, tanto elevato eppure tanto vicino da scaldare l’anima di chi lo contempla. Gesù è figlio dell’amore di Maria, del “sì” di Maria, che ama tutta l’umanità così come ha amato suo figlio, in quanto egli stesso sulla croce ha consegnata sua madre a tutti gli uomini. La nuvola su cui poggia Maria, rappresenta il cielo, mentre la terra su cui si adagia leggera, rappresenta tutta l’umanità, a ricordare che la divinità è stata posta in terra fra tutti gli uomini.

Giastin sceglie l’azzurro per la Madonna e il Bambino come colore simbolo della divinità. L’arancione del cielo rappresenta lo Spirito Santo, che unisce il giallo e il rosso, cioè la gioia e l’amore. L’immagine ben definita dall’accostamento dei colori complementari blu e arancione e dalle campiture ampie di colore compatto e deciso, rende chiara ed evidente la Verità di Fede che vuol raccontare.
La sua firma è impercettibile, ai piedi di Maria, e si fonde con la nuvola, come se Giastin si sentisse già parte del cielo.


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7 Novembre 20230

Il 2 Agosto, per la festa del Perdono, Giastin si reca in vacanza ad Assisi con la sua famiglia per una settimana in occasione della rappresentazione del musical “Il saio di Francesco”, scritto da don Ricciotti ed Angelo Gualano e recitato dai ragazzi della parrocchia di San Marco in Lamis.

La sua passione per la bellezza della natura trova piena soddisfazione nei colori e nella dolcezza dei paesaggi umbri. Dal finestrino della macchina osserva i campi e le colline ondulate e rimane colpita dai colori vivaci di un campo di lavanda e di un campo di papaveri. Appena tornata a San Marco in Lamis, dipinge queste due tele ovali per conservare per sempre il ricordo di quei luoghi incantevoli. Fotografa con gli occhi i due paesaggi e li riporta esattamente così com’erano. Essi rispecchiano il desiderio di libertà di Giastin che la portava a spaziare libera con lo sguardo e con la mente fra un campo e l’altro senza separazioni e steccati. La sua è una visione unitaria sul tutto, come se lei stesse volando sul mondo. Attraverso i suoi quadri Giastin desiderava richiamare l’idea del sogno e per questo prediligeva i colori chiari rispetto a quelli scuri, scegliendo l’azzurro per le montagne anziché il marrone o il grigio.

LA LAVANDA

Nella tela “La lavanda”, stesure di colori accesi e contrastanti, che ricordano Van Gogh, pittore che Giastin amava, distinguono nettamente quattro piani: dal marrone della terra all’estremità in basso, si passa al viola luminoso e profondo della lavanda che risalta fortemente grazie all’accostamento con il giallo vivo del campo sovrastante, per terminare con l’azzurro del cielo in cui si fondono le montagne. Il verde scuro della vegetazione fa da trait d’union fra le diverse campiture. Tre tronchi in lontananza, uno più indietro in dissolvenza, due più grandi davanti quasi sullo stesso piano, abitano il campo giallo. Forse rappresentano proprio loro tre, Rosaria un po’ più indietro perché era già volata al cielo, Giastin e Cosimo avanti sulla stessa linea. La sua firma è nel giallo, ovvero nella luce, che è presenza di Dio nel mondo.

I PAPAVERI

Anche “I Papaveri” sono suddivisi da quattro piani di colori brillanti: il verde dell’erba è accostato al rosso dei papaveri e al giallo segue il blu diluito del cielo. Nel campo di papaveri si distingue una casetta, senza finestre nè porte, luogo chiuso in cui lei si riconosce perché appone la sua firma proprio lì, come a voler rimarcare  il suo “essere nel mondo ma non del mondo”.



21 Luglio 20230

E’ una delle ultime tele di Giastin, venduta dopo la sua partenza per il cielo. E’ stata esposta solo nelle retrospettive a Palazzo Dogana a Foggia e al Museo Diocesano di Otranto.

Il messaggio che Giastin vuol trasmettere attraverso questa immagine  è che l’uomo non sarà mai solo perché Dio è sempre con lui.  La sua presenza si fa viva e concreta attraverso il sole, la terra e tutta la natura che lo circondano.

L’albero, apparentemente isolato, dipinto al centro del quadro, è rigoglioso e verdeggiante come il prato in cui è innestato. Rappresenta l’uomo, che trae origine e nutrimento da radici tripartite che rimandano alla Trinità.

La terra genetrice è il Padre, come nella tela Trinità, luogo in cui Giastin ha posto la sua firma come segno di appartenenza. Per sottolinearne la ricchezza, usa il dorato per dare luce alle sfumature di verde che ravvivano e impreziosiscono il prato brulicante di vita.

In questa e in tutte le sue ultime tele, il cielo è rosso, non sappiamo se si tratti dell’alba o del tramonto, ma certamente parlano di un passaggio, da una dimensione ad un’altra. Le striature di colori vivi ma diluiti, trasmettono l’idea di una dolce atmosfera silenziosa e serena.

Giastin e i suoi fratelli sono cresciuti nella piena consapevolezza che la loro vita terrena sarebbe stata breve e che presto sarebbe giunto il momento di lasciare tutto e tutti per abbracciare Dio. La piena fiducia nell’amore infinito di Dio per loro aveva sempre reso dolce e sereno il pensiero di raggiungere il cielo con un paio d’ali che pian piano spuntavano sulla loro schiena, come insegnava la mamma a Giastin fin da piccola.



10 Settembre 20220

Giastin aveva quindic’anni e si era innamorata per la prima volta e la mamma Carolina se ne era accorta senza che lei gliene avesse parlato. Così, nel vederla triste e sognante, con il sottofondo del brano di Rita Pavone Cuore, la mamma la aiutò a confidarsi fra balli e canti, risate e lacrime. Giastin chiese alla mamma come fare ad accorgersi di essere innamorati e lei rispose:

 “Semplice Giastin, ti batte forte il cuore, ti tremano le gambe” e lei: “Mamma, ma così è una fregatura per me (…) ho sempre l’aritmia e le mie gambe non si muovono…”, (…) “Giastin, te ne renderai conto anche senza sentire le tue gambe, penserai a lui, vorrai sempre vederlo e via dicendo” e lei “Sai mamma, di me non si innamorerà mai nessuno.” ed io le risposi: “Vedi tesoro mio, chi ti amerà sarà per sempre, perché si innamorerà della tua anima.” e lei: “Sai mamma, mi piace un ragazzo ma anche se mi dicesse che mi ama io direi di no; sai per me la vita è bellissima, qui in questa casa; non uscire per nove mesi per me è tutto normale e bello, ma per lui sarebbe una prigione. E’ meglio che non si innamori nessuno di me.” L’abbracciai forte, sentivo che stava male, io non potevo aiutarla, così mi disse: “Grazie mamma, tu capisci sempre tutto”. L’indomani si fece dare una nuova tela, voleva dipingere e così le diedi tutto; dopo un po’ mi chiama e mi dice: “Mamma, questa sei tu”. Guardando la tela le dissi: “Non credevo di essere una palla”, lei scoppiò a ridere: “Ma che dici mamma”. Mi spiegò il dipinto e mi disse: “Tu sei la mia luce nella tempesta, grazie per ieri mamma, ho capito tante cose” ed io: “Che sei innamorata” e lei: “Una cottarella, saprò di essere innamorata solo quando sento che lo amo, non dico come Gesù, ma si deve avvicinare. Per ora il mio fidanzato è Gesù” e poi ridendo disse: “Gesù, dopodomani è San Valentino, che mi regali?”.

(Tratto da Rosaria, Giastin e Cosimo Gravina, I tre vulcani della gioia)

Il quadro, quindi, rappresenta una tempesta in cui appare il sole a placarla, ma rispetto agli altri quadri, il sole non è Dio, ma la mamma Carolina. Dallo sfondo blu scuro, con un vortice, il sole espande la sua luce con fasce lineari che si fondono con il cielo creando delle sfumature a linee orizzontali di azzurro, che gradualmente passa dal centro più chiaro ai bordi neri. Il sole dolcemente sospinge indietro l’oscurità che sembra indietreggiare formando delle curve, come il sipario di un palcoscenico che si apre. I colori sono molto corposi e la stesura distesa e lineare restituisce allo sguardo  serenità e pacatezza. La firma è posta nel fascio di luce azzurra centrale, ad indicare la sua sapiente capacità di riconciliarsi con se stessa dopo essersi lavata in un amore più grande, passando per la sofferenza, ma uscendone con animo erto e proteso verso Dio.



8 Febbraio 20220

Terminata la prima mostra del 2002 a San Marco in Lamis, i quadri erano stati rapidamente tutti venduti. Una coppia di sposi, conoscenti della famiglia Gravina, desiderava avere un quadro ma non aveva fatto in tempo ad acquistarne uno dalla mostra. Giastin, quindi, pensò ad una tela per loro dal titolo Umiltà,  perché a suo avviso si distinguevano per umiltà e bellezza d’animo. I due tronchi rappresentano questi due sposi, che umilmente, anche con i propri limiti ed i propri difetti, vivono lasciandosi illuminare dal sole, che come sempre è Dio, lo Spirito Santo. Come il sole in questo paesaggio, Dio è il centro, la fonte di ogni bene dell’essere umano.

Il cielo illuminato dal rosso, dall’arancione e dal giallo, domina la scena con colori densi e sovrapposti, mentre il bianco del sole arriva sui tronchi fin quasi a consumare i loro contorni e a modellarne le forme, come lo Spirito Santo plasma le nostre anime e le fonde in Lui. Gli alberi con un movimento sinuoso e un ritmo danzante contorcono il tronco e con i rami sembrano abbracciare la luce.

La sua firma è nella terra, cioè nel Padre che ci dà vita.

“Siamo nel mondo così come siamo”, diceva a sua madre. Nella descrizione degli alberi secchi, apparentemente morti, Giastin è fortemente autobiografica: nonostante la sua malattia, le deformità del suo corpo, resta nell’umiltà di accogliersi e di vivere così com’è, senza pretese o aspettative di guarigione fisica, lasciando danzare la sua anima nutrendosi di Dio. I suoi limiti fisici, come i limiti di ogni persona, non sono un ostacolo a vivere in pienezza, perché tutto ciò che serve per essere felici viene dall’alto. Poco prima di morire, nel 2004, infatti scriveva: “Nessun uomo è prigioniero dei propri limiti se la sua mente è libera di volare”.


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15 Novembre 20210

La famiglia Gravina trascorreva il periodo dell’anno che va dall’autunno alla primavera in casa a San Marco, per evitare che i tre fratelli, Rosaria Giastin e Cosimo, contraessero le normali malattie respiratorie che sui loro corpi malati si trasformavano in patologie molto gravi che avrebbero potuto portarli alla morte. L’estate rappresentava per loro un periodo dell’anno meraviglioso durante il quale poter uscire, stare all’aria aperta e andare al mare. Ogni anno i loro genitori affittavano un appartamento piuttosto grande al mare, di solito a Marina di Lesina,  dove trascorrere le vacanze insieme a tutti gli amici che desideravano unirsi a loro. La gioia e il divertimento erano grandi e questa tela intitolata Infinito, può farci immaginare il senso di libertà e gioia che Giastin e i suoi fratelli provavano nello stare al mare dopo un freddo inverno chiusi in casa.

Il quadro si intitola Infinito perché, quando Giastin era in mare, riusciva a muoversi autonomamente e desiderava così tanto prolungare all’infinito quella sensazione di libertà che le dava il movimento autonomo da  non voler mai terminare il bagno. Bisognava litigare per farla uscire dall’acqua!

In questo quadro primeggia al centro la sua parte umana, che è rappresentata dal mare, dove appone la sua  firma, mentre il sole, che rappresenta Dio, è decentrato, anche se i suoi raggi luminosi fanno risplendere con bagliori chiarissimi, il blu acceso del mare e il nero degli scogli.

Il cielo ha i colori dell’alba che Giastin amava ammirare svegliandosi spesso alle tre del mattino per recarsi sulla spiaggia a vedere il sole sorgere dal mare. E davanti a questa immagine anche noi possiamo ammirarlo attraverso il suo sguardo pieno di amore e di meraviglia.


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5 Novembre 20210

Questo quadro è fra gli ultimi dipinti di Giastin, preparato per una mostra che non è mai riuscita ad allestire.

Due alberi ben distinti, che rappresentano genitore e figlio, hanno i tronchi uniti in un solo punto alla base. La loro unione durerà poco, in quanto sono destinati ad una completa separazione. Giastin vuol comunicare che  madre e padre devono lasciar andare via il proprio figlio perché in questo consiste la vera maternità e paternità. Anche se il titolo fa riferimento alla maternità, il quadro non rappresenta solo la figura materna perché Dio è madre e padre e la genitorialità deve ispirarsi a quella di Dio verso l’uomo. Il tronco piccolo più in ombra prende luce dall’albero grande illuminato dal cielo e la posizione delle due chiome, lascia intuire una grande tenerezza di sguardi. I tronchi sono molto robusti, come sempre nei quadri di Giastin, perché rimandano alla forza e alla solidità dell’amore che unisce genitori e figli, ispirato all’amore che unisce Dio all’uomo. Il cielo alle luci dell’alba ha un aspetto striato, dovuto  al colore diluito che conferisce all’immagine un’atmosfera rarefatta e irreale.

Per la prima volta Giastin introduce il colore oro nel cielo e nell’erba, a simboleggiare la ricchezza spirituale che i genitori donano ai propri figli per andare nel mondo e per questo appone la sua firma nella terra, per testimoniare quanto di prezioso ha ricevuto da sua madre e suo padre.


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19 Ottobre 2020

Dipinto per la sua famiglia composta non solo dai genitori e dai fratelli, ma anche dai nonni, gli zii e i cugini, è il quadro che meglio esprime l’amore e la gratitudine che Giastin nutriva per tutti loro.

Al centro della tela traccia un sentiero dritto in discesa che si confonde con una cascata rapida e sovrabbondante d’acqua. Così Giastin descrive la sua vita, un fiume in piena lineare e sovrabbondante di esperienze, illuminata e strettamente legata a Dio che come un sole vigila su di essa e la irradia di luce e di colori.

Ai lati del sentiero una foresta di alberi dal tronco robusto e la chioma rigogliosa riempie la tela a simboleggiare che la sua famiglia ha arricchito e impreziosito tutta quanta la sua esistenza. Giastin vede la sua vita come un’esplosione di colori vivaci e diversi come quelli delle chiome variopinte degli alberi, il rosa del cielo e le pennellate nitide del sole. La sua firma è posta all’interno della chioma di un albero proprio perché lei stessa si riconosceva nella vitalità e nella bellezza della chioma che deriva dal tronco.

I tronchi hanno una forma particolare: allargati in basso ad indicare la concretezza e l’attaccamento alla realtà che hanno i suoi genitori, e slanciati verso l’alto, ad indicare che hanno avuto sempre lo sguardo rivolto verso il cielo. Questo dipinto è il grazie di Giastin ai suoi genitori per averle donato e fatto vivere una vita meravigliosa e ricca.